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La città di Sarajevo ha avuto il paradossale destino di essere insieme un simbolo della violenza politica lungo l'intero ventesimo secolo e un modello europeo di cosmopolitismo e pacifica convivenza tra identità religiose, etniche e culturali diverse, grazie alla coscienza civica dei suoi abitanti. Fin dalla fondazione nel quindicesimo secolo, è stata città multiconfessionale e multietnica. Vi hanno convissuto le comunità musulmana, cattolica, serbo-ortodossa ed ebraica. I cittadini erano bosniaci, serbi, croati, ebrei sefarditi e askenaziti, rom e di altre minoranze. La vita cittadina venne però stravolta quando nel 1941 Sarajevo cadde sotto il controllo della Germania di Hitler e fu incorporata nello Stato indipendente di Croazia, uno dei più brutali stati satellite del nazismo, sotto il regime degli ustascia. Il suo complesso mosaico di identità, caratteristico dei vecchi imperi multinazionali, iniziò a incrinarsi. Saltarono equilibri e si manifestarono spinte centripete, quando gli ustascia sferrarono il loro feroce attacco a serbi, ebrei e rom, e poi con l'esplosione della guerra civile sotto l'incalzare dei partigiani comunisti e dei cetnici. Greble analizza le scelte quotidiane e le misure concrete dei leader locali, per capire che cosa ne sia stato in quel drammatico frangente del multiculturalismo incarnato da Sarajevo. Un caso significativo per gli interrogativi urgenti che pone sulla convivenza nel pluralismo culturale e religioso.